Autotutela: che fare se l’amministrazione non risponde

 

autotutelaIl contribuente che presenta ricorso in autotutela non ha diritto a ottenere una risposta da parte dell’amministrazione. Contro l’eventuale silenzio, quindi, non ci sono mezzi di tutela e non è possibile fare opposizione. Al contrario, in assenza di risposta, l’istanza in autotutela si considera rigettata (cosiddetta regola del «silenzio-rigetto» o «silenzio rifiuto»). Lo ha chiarito una recente sentenza della Corte Costituzionale (C. Cost. sen. n. 181 del 13.07.2017).

Per comprendere meglio come stanno le cose facciamo un esempio. Immaginiamo un contribuente che venda la propria auto. Ciò nonostante, gli arriva ugualmente una richiesta di pagamento del bollo auto. Ritenendo non dovuta l’imposta e non volendo spendere soldi in avvocati e ricorsi, l’ex proprietario del mezzo inoltra all’amministrazione un ricorso in autotutela. Convinto che il ricorso gli verrà certamente accettato (per via della facile rilevabilità dell’errore), non fa neanche ricorso al giudice. Dopo diversi mesi dal ricorso, quando ormai sono abbondantemente scaduti i termini per l’impugnazione alla Commissione Tributaria, il contribuente riceve una cartella di pagamento per il medesimo bollo auto. Meravigliato del fatto che, nonostante il ricorso in autotutela, l’amministrazione non gli abbia fatto sapere nulla e, per di più, sia andata avanti nella procedura, decide solo allora di rivolgersi al giudice e di impugnare la cartella. Il ricorso però gli viene rigettato. Secondo il giudice, infatti, non è possibile ricorrere contro il silenzio rifiuto all’autotutela. Peraltro, essendo scaduti ormai i termini per contestare l’originaria pretesa di pagamento, l’automobilista dovrà pagare l’imposta benché inizialmente non dovuta.

Per quanto possa apparire strano, la vicenda rispecchia una normale situazione che non troverà mai alcuna tutela. Nel nostro ordinamento, la legge non prevede alcun obbligo per la P.A. di rispondere alle istanze di autotutela presentate dai contribuenti. Risultato: non è possibile impugnare innanzi al giudice il diniego di autotutela che scatta con il silenzio-rifiuto. Proprio per questa ragione è consigliabile – anche se si è presentato un ricorso in autotutela – di presentare anche il ricorso al giudice se, in scadenza dei termini, non si è ricevuto risposta positiva dall’amministrazione.

Questo non determina un vuoto di tutela per coloro che sono interessati a ottenere un provvedimento in seguito alle domande rivolte al fisco. Imporre all’amministrazione di pronunciarsi sulle istanze di autotutela e ammettere l’azione giudiziale contro il silenzio, significherebbe aprire la porta «alla possibile messa in discussione dell’obbligo tributario consolidato a seguito dell’atto impositivo definitivo. L’autotutela finirebbe quindi per offrire una generalizzata «seconda possibilità» di tutela, dopo la scadenza dei termini per il ricorso contro lo stesso atto impositivo». E, per giunta, azionabile senza termini di scadenza dall’interessato, il quale potrebbe riattivare in ogni momento il ricorso al giudice, anche quando il provvedimento amministrativo ormai definitivo.
Grazie all’autotutela la pubblica amministrazione, che si accorge (d’ufficio o su segnalazione del contribuente) di aver emesso un atto viziato, può annullarlo totalmente o parzialmente. Tuttavia, per l’esercizio del potere di autotutela non è richiesta alcuna istanza del contribuente; si tratta infatti di un’attività che l’amministrazione svolge per tutelare sé stessa dal ricorso del contribuente contro un provvedimento illegittimo. Tale annullamento, pertanto, non è uno strumento di protezione del contribuente ma dell’amministrazione stessa.

L’amministrazione può procedere all’annullamento con l’autotutela anche se sull’atto pende un ricorso davanti al giudice o se lo stesso è divenuto definitivo per non essere stato impugnato nei termini.
Il potere di annullare un atto da parte del fisco dipende da valutazioni largamente discrezionali.

Fermo restando il principio di non impugnabilità del diniego di autotutela, alcuni giudici hanno ritenuto che, se l’atto contestato non è ancora divenuto definitivo (ossia pendono i termini per fare ricorso), l’eventuale rifiuto della pubblica amministrazione all’istanza del contribuente deve essere motivato. Per esempio, secondo una sentenza della commissione tributaria provinciale di Campobasso (CTP Campobasso, sent. n. 195/2014), il comportamento dell’amministrazione finanziaria deve essere sempre trasparente: il che richiede che, anche in presenza di una istanza in autotutela, l’amministrazione deve decidere (con un provvedimento di accoglimento o di rigetto dell’istanza di autotutela) entro il termine per ricorrere innanzi al giudice tributario. In caso contrario l’amministrazione deve essere condannata a pagare un indennizzo per aver dato luogo a un giudizio che poteva essere evitato. Si tratta di un comportamento dettato da mala fede o colpa grave che dà luogo a una responsabilità aggravata. Questo significa che, tenuto conto del fatto che il termine per presentare ricorso contro una richiesta di pagamento è di 60 giorni, in presenza di un’istanza di autotutela del contribuente «l’ente impositore ha l’obbligo, non solo morale, ma giuridico di emettere il provvedimento conclusivo, positivo o negativo che sia, del predetto procedimento, prima della scadenza del termine» predetto. Altrimenti vengono lesi i diritti del contribuente e l’amministrazione finanziaria risponde per responsabilità aggravata.

Dello stesso avviso anche la Cassazione (Cass. sent. n. 698/2010) secondo cui i contribuenti possono rivolgersi al giudice ordinario per ottenere il risarcimento dei danni, materiali ed esistenziali, subiti in seguito al mancato o ritardato annullamento di un atto impositivo illegittimo.

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